Secondo me

I SINDACI, IL RISPETTO DELLA LEGGE, LA COSCIENZA NONVIOLENTA E LA POLITICA MINORENNE

Le leggi si rispettano.
I ministri e i sindaci hanno giurato di osservarle, a cominciare dalla Costituzione.
Quando una legge pare (pare!) contrastare con i valori costituzionali, è facile che la coscienza di chi la deve eseguire sia turbata.
Allora che si fa?
A differenza di quanto ogni tanto appare su qualche giornale, in Italia non è possibile per chiunque e in qualunque circostanza rivolgersi alla Corte costituzionale: può farlo solo un organo costituzionale (non un sindaco) oppure un giudice, durante un processo.
Per questo motivo, il comprensibile dissidio nella coscienza del pubblico funzionario, che deve applicare una legge che ritiene ingiusta o addirittura eversiva, non può che esprimersi in atti di natura politica e simbolica, esemplare, magari attraverso le collaudate tecniche della nonviolenza: scioperi della fame e della sete, obiezione/omissione di coscienza, violazioni della legge con autodenuncia, allo scopo di evidenziare quella che Marco Pannella chiamava “la flagranza di Stato”, attraverso la propria flagranza di reato.
Pagando di persona, portando lo Stato ad un corpo a corpo sul rispetto della legalità (costituzionale) dello Stato stesso.
La soluzione che Leoluca Orlando e coloro che lo seguono nello scontro sul celebre art. 13 del “decreto sicurezza” (ormai legge), sembra avvicinarsi a tale paradigma.
La fragile consapevolezza, in Italia, del metodo nonviolento, consente però di equivocare mezzi, scopi e natura di tali proposte, sempre degradate al rango di “proteste”, o all’ancor meno nobili “provocazioni”.
L’Italia ipocrita e reazionaria, compromissoria e un po’ imbrogliona, nella quale la diffidenza e la retorica corrodono sempre qualunque discorso politico, è il luogo meno adatto per dare chiaro riconoscimento e corretta valutazione del gesto nonviolento.
Si spera, come sempre, nei giudici.
E tale atteggiamento confina e condanna in perpetuo la politica ad una condizione di un’insuperabile minorità, di un’insopportabile irredimibile miseria.

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